domenica 30 ottobre 2016

Václav Havel: per un ritorno all'umano

"Cos’hanno davvero in comune il mondo di un contadino medievale e quello di un giovane ragazzo? Qualcosa di sostanziale, penso. Sia il ragazzo, sia il contadino sono radicati molto più profondamente in quello che alcuni filosofi chiamano il «mondo naturale», o Lebenswelt, di quanto non lo siano gli adulti più moderni. Non sono ancora cresciuti, alienati dal mondo delle loro vere esperienze personali, il mondo che possiede il suo giorno e la sua notte, il suo sotto (la terra) e il suo sopra (i cieli), dove il sole sorge ogni giorno a est, attraversa il cielo e tramonta a ovest, dove concetti come a casa e in luoghi estranei, bene e male, bellezza e bruttezza, vicino e lontano, doveri e diritti, possiedono ancora il significato di qualcosa di vivo e definito. Sono ancora radicati in un mondo che conosce la linea di demarcazione tra ciò che è intimamente familiare e propriamente oggetto del nostro interesse e ciò che si trova oltre il suo orizzonte, di fronte al quale dovremmo inchinarci con umiltà, in virtù del mistero che lo circonda...
Il nostro «Io» attesta primitivamente quel mondo e intimamente lo certifica; si tratta del mondo della nostra esperienza vissuta, un mondo non ancora indifferente, dal momento che siamo intimamente legati ad esso dal nostro amore, odio, rispetto, disprezzo, tradizione, dai nostri interessi e da quella significatività preriflessiva da cui la cultura si è originata. Quello è il regno della nostra gioia e del nostro dolore, inimitabili, inalienabili, non trasferibili, un mondo in cui, attraverso cui e per cui siamo in qualche modo responsabili, un mondo di responsabilità personale. In questo mondo, categorie quali giustizia, onore, tradimento, amicizia, infedeltà, coraggio o empatia hanno un contenuto pienamente tangibile, legato a persone reali e importante per la vita reale. Alla base di questo mondo ci sono valori che sono semplicemente lì, in modo permanente, ancor prima di parlarne, ancor prima di pensarci, ancor prima di indagarli. Esso deve la propria coerenza interna a qualcosa che somiglia a un assunto «prespeculativo», per il quale il mondo funziona ed è generalmente possibile solo perché qualcosa esiste oltre il suo orizzonte, qualcosa oltre o al di sopra di esso, che può sfuggire alla nostra comprensione e alla nostra presa ma che, appunto per questa ragione, fonda solidamente questo mondo, gli conferisce il suo ordine e la sua misura ed è la fonte nascosta di tutte le regole, consuetudini, comandamenti, proibizioni e norme che in esso dimorano. Il mondo naturale, in virtù della propria essenza, possiede in sé la presupposizione dell’assoluto che lo fonda, delimita, anima e dirige, senza la quale sarebbe impensabile, assurdo e superfluo e che noi possiamo solo pacificamente rispettare. Ogni tentativo di respingerlo, dominarlo, o rimpiazzarlo con qualcos’altro, appare, nella cornice del mondo naturale, come un’espressione di arroganza per la quale gli esseri umani devono pagare un prezzo pesante, come accadde a Don Giovanni e Faust.
Dal mio punto di vista, la ciminiera che imbratta i cieli non è solamente l’incresciosa disattenzione di una tecnologia incapace di includere il «fattore ecologico» nei suoi calcoli, i quali possono essere facilmente corretti con il filtro appropriato. Per me significa di più: è il simbolo di un’era che cerca di trascendere i confini del mondo naturale e le sue norme e di renderlo un interesse meramente individuale. È una questione di preferenza soggettiva e di sentimento privato, è una questione che riguarda le illusioni, i pregiudizi e i capricci di un «mero» individuo. È il simbolo di un’epoca che nega l’importanza vincolante dell’esperienza personale, così come l’esperienza del mistero e dell’assoluto e sostituisce l’assoluto personalmente esperito quale misura del mondo con un nuovo, artefatto assoluto, privo di mistero, libero dai capricci della soggettività e, in quanto tale, impersonale e inumano. È l’assoluto della cosiddetta oggettività: la cognizione razionale e oggettiva del modello scientifico del mondo.

La scienza moderna, nel costruire la sua immagine universalmente valida del mondo, distrugge i confini del mondo naturale, che può comprendere solo come una prigione di pregiudizi da cui dobbiamo evadere per raggiungere la luce della verità oggettivamente verificata. Il mondo naturale appare ad essa come un avanzo infelice dei nostri antenati, una fantasia della loro infantile immaturità. In tal modo, è indubbio, essa elimina, come mera Finzione, anche il fondamento più profondo del nostro mondo naturale; uccide Dio e prende il suo posto sul trono vacante, cosicché, per l’avvenire, sarà la scienza a stringere nelle proprie mani l’ordine dell’esistenza in qualità di unico, legittimo guardiano e ad essere l’unico, legittimo arbitro di tutta la verità che conta. Perché, dopotutto, è solo la scienza a ergersi al di sopra di tutte le verità soggettive dell’individuo, sostituendole con una verità superiore, sovrasoggettiva e sovrapersonale, che sia veramente oggettiva e universale.

Il razionalismo moderno e la scienza moderna, sebbene il lavoro delle persone, come tutti i lavori compiuti dall’uomo, si sia sviluppato nel mondo naturale, adesso lo accantonano sistematicamente, lo negano, lo umiliano e lo diffamano – e, senza dubbio, allo stesso tempo lo colonizzano. L’uomo moderno, il cui mondo naturale sia stato giustamente conquistato dalla scienza e dalla tecnologia, si oppone al fumo della ciminiera solo se la puzza penetra nel suo appartamento. In nessun caso, tuttavia, si sentirebbe metafisicamente offeso, dal momento che egli è consapevole che la fabbrica a cui appartiene la ciminiera produce oggetti di cui ha bisogno. In quanto uomo dell’era tecnologica, egli può concepire una forma di rimedio solamente entro i limiti della tecnologia stessa – diciamo, un filtro catalitico applicato alla ciminiera.[...]

La colpa non è della scienza in quanto tale, ma dell’arroganza dell’uomo nell’era della scienza. L’uomo, semplicemente, non è Dio, e giocare a fare Dio ha conseguenze spietate. L’uomo ha eliminato l’orizzonte assoluto delle sue relazioni, ha negato la sua personale esperienza «preoggettiva» del mondo vissuto, confinando la coscienza e la consapevolezza in bagno, come qualcosa di così privato da non riguardare nessun altro. L’uomo ha rifiutato la propria responsabilità quale «illusione soggettiva», e al suo posto ha installato quella che, ora, si dimostra essere l’illusione più pericolosa di tutte: la finzione dell’oggettività spogliata di tutto ciò che è concretamente umano, la finzione della comprensione razionale del cosmo e dello schema astratto della cosiddetta «necessità storica». All’apice di tutto questo, l’uomo ha costruito una visione di «benessere universale» tecnologicamente raggiungibile e scientificamente calcolabile, che necessita solo di essere inventato dagli istituti sperimentali, mentre le fabbriche industriali e burocratiche lo trasformano in realtà. Il fatto che milioni di persone saranno sacrificate sull’altare di quest’illusione all’interno di campi di concentramento gestiti in modo scientifico, non è qualcosa che riguarda il nostro uomo moderno a meno che, per caso, lui stesso non finisca dietro il filo spinato e sia rilanciato drasticamente verso il proprio mondo naturale. Il fenomeno dell’empatia, dopotutto, appartiene al regno abolito del pregiudizio personale, che si è dovuto piegare alla scienza, all’oggettività, alla necessità storica, al sistema e all’apparato, e questi, essendo impersonali, non possono angustiarsi. Sono astratti e anonimi, sempre funzionali e, pertanto, sempre innocenti a priori."

Václav Havel - La politica dell'uomo

(In foto: Václav Havel)

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